BASSE PROBABILITA’ DI RIUSCITA

Nel derby della Mole, l'ultimo vinto dalla squadra granata...

 

Sesto minuto del secondo tempo. Commetto fallo al limite dell’area di rigore. No cazzo, no. Sono più di 20 i metri che separano il punto di battuta dalla porta, in zona centrale ma defilata leggermente verso sinistra. Quei pochi secondi che intercorrono tra il fischio dell’arbitro e l’avvicinamento al pallone dei potenziali tiratori avversari reagisco dentro: una debordante raffica di insulti trattenuti nelle mie tempie è la presa di coscienza della mia ingenuità. Potevo, anzi dovevo evitare di regalare una simile alternativa. Non puoi permettertelo cazzo. Mediamente da qui, il grado di pericolosità è alto, non elevato.  Da qui la soluzione migliore che offro è un cross ben calibrato al centro dell’area o un tiro potente diretto verso la porta, tanto basta per mettere sotto pressione la mia squadra. In questo caso le cose sono leggermente diverse. Gli avversari ora sul pallone confabulano tra loro ma tutto quel parlare a bassa voce e girare attorno alla sfera conta poco o nulla. Sono rimasti in due, l’italiano ed il cileno, dubbi ce ne sono pochi anzi. Nessuno. Tutti sanno chi si presenterà sul pallone. Andrea Pirlo: posiziona la palla, si concentra e medita sulla modalità di esecuzione. Intanto l’attesa aumenta: non è la singolarità dell’evento a contenere in sé un'emozione palpabile - Andrea Pirlo è in stato di grazia, ogni suo tocco nella mediocrità generale è classe pura per non parlare della sua “maledetta” - ma la storia della partita che crea suspense in tutto lo stadio Olimpico. Il derby della Mole. La gara di ritorno sul risultato di parità di 1 a 1 è stata sbloccata da un capolavoro su punizione dello stesso giocatore che ora si ripresenta sulla palla: al 35esimo un calcio efficace a giro che supera la barriera si stampa sotto la traversa e si insacca in rete. Autore del fallo decisivo: io. 1 a 0. Poi il pareggio di Matteo a pochi minuti dall’intervallo, il suo stop rocambolesco e l’appoggio semplice a siglare alle spalle di Buffon. Per il popolo granata la speranza viva di poter almeno sognare la vittoria in un derby da 20 anni a questa parte. Per noi giocatori in campo un'altra incredibile impresa di questa stagione da ricordare. Inizia il secondo tempo e dopo soli 6 minuti un altro maldestro tentativo di recuperare palla al limite dell’area granata si trasforma in una nuova potenziale occasione da gol bianconera. Fallo. Per la seconda volta, da una posizione ancor più lontana dalla porta, prendo posizione come terzo uomo della barriera. Ingenuo, mi ripeto, furbo è stato lui: sembra quasi averlo cercato quel fallo, anzi, sicuramente lo ha cercato, ed in maniera astuta si è guadagnato ciò che voleva. Il momento è topico. C’è tensione tra i miei compagni, c’è agitazione negli avversari, c’è attesa in tutto lo stadio. I cori dei tifosi sono disturbati dal brusio di sottofondo generale, migliaia di prodotti vocali di differenti intensità che al fischio dell’arbitro generano un disappunto sonoro ansiogeno.  Perché da anni la Torino granata non vince un derby e per come stanno andando le cose questa è l’occasione giusta per farlo. Ma ora c’è questo calcio di punizione. Io mi asciugo il sudore e guardo per terra per qualche istante. Riprendo fiato e penso. Tra i 30.000 cuori pulsanti per qualche secondo abbasso inconsapevolmente il livello della mia concentrazione. Solita, in casi di questo genere, è la frase speriamo non succeda niente che sorge naturale nel mio cervello. E anche al primo gol juventino l’idea elaborata ha confermato la normale routine mentale acquisita. Questa volta no. Questa volta tutto accade in maniera insolita. E comincio un lungo ragionamento sulle probabilità che il pallone finisca dentro. Casistica e statistica. Cerco una soluzione al problema ponendomi una lunga serie di domande. Considerando la distanza quante probabilità esistono che Pirlo segni in questa occasione? Quante probabilità esistono che Pirlo segni due gol su punizione nella stessa partita? Quante probabilità esistono che Pirlo non segni? Quante possono essere le possibilità che centri per due volte il bersaglio in un derby? Quante possibilità esistono che non segni una doppietta nel derby? Quante doppiette ha fatto campanellino Pirlo ai tempi del Milan? La pressione diminuisce: le domande allentano moderatamente l’intensità mentale rivolta al gioco. Poi una sensazione di grande serenità: l’arbitro sta schiumando i ciuffi d’ erba per mantenere la distanza della barriera dal punto di battuta ed io non ho dubbi; come se si fossero sciolte le variabili provenienti da chissà quale angolo remoto del mio subconscio considero una possibilità su mille che la palla concluda il suo percorso al di la della linea di porta. La palla non entrerà lo sento; e tutta l’apprensione, l’ansia, la paura che sembra attanagliare lo stadio in una morsa insistente la percepisco distante anni luce dallo stato d’animo che mi pervade. Considero solo una possibilità: che la pura luce di un grande campione illumini anche le povere certezze di un avversario che si aggrappa disperatamente ai suoi convulsionari ragionamenti del momento, unica arma a sua disposizione per difendere la porta. Da qui, dalla barriera, i 9 metri e 15 sembrano 11, 12. Da qui anche saltare diventa inutile. Tagliavento fischia. Pirlo prende la rincorsa ed io fisso la palla. Pirlo colpisce la palla ed io salto anche se è inutile. La palla si muove dritta e veloce, supera la barriera e si abbassa inaspettatamente. Gli istanti sembrano letali, gli occhi inchiodati al pallone lo seguono fino alla conclusione della sua parabola perfetta. Ed infine il suono che certifica l’esattezza dei miei calcoli. Palo pieno.