Appunti di viaggio.
Da circa un anno scrivo regolarmente qualche pagina a settimana. Mi serve e mi aiuta. Prima nasce un’idea che gira vorticosamente nella mia testa, appunto una parola corrispondente sul mio smartphone in modo da non dimenticarla ed infine attraverso gli essenziali mezzi del mio linguaggio creativo cerco di sviluppare un discorso che abbia il minimo senso. A volte ci riesco, altre no. E’ un flusso continuo di spunti che ogni giorno mi distrae dal presente, confusione di idee difficili da gestire che traffica i miei pensieri dall’ età di 18 anni circa. Fu in quel periodo che mi resi consapevole dei quotidiani processi mentali attivi nel mio cervello. Non li ho mai ignorati ma li ho sempre tenuti dentro, compressi nelle stanze della mia immaginazione; stanze che con il trascorrere del tempo si sono fatte sempre più strette. Ora ho deciso di verbalizzare molte di queste riflessioni su carta. O su foglio elettronico. Scrivere dunque.
Lo scrivere è l’ultimo step di un singolare percorso iniziato nell’estate del 2014.
Mi trovavo in ritiro precampionato in un noto albergo di Torino: me ne stavo sdraiato sul letto a leggere, dopopranzo, mentre Marco guardava annoiato la televisione. C’era anche una donna nella stanza: a dimensioni naturali, immortalata nuda in una foto degli anni 50 e incollata al muro come carta da parati tentava di distrarre la mia attenzione. Ma non ci riusciva. Perché tra le distensive righe di “Correre è una filosofia” incrociai le parole dalle quali è nato tutto. Il concetto teorico di flow e il suo culmine, la peak experience. Nel concetto di flow colui che svolge un’attività fisica prova uno stato di estremo piacere: è totalmente assorbito da quello che fa che la sua concentrazione è totale, la percezione del tempo diviene alterata, l’ansia e la frustrazione scompaiono. A differenza del flow, nella peak experience, il soggetto prova sensazioni estreme che portano al raggiungimento di una dimensione transpersonale. L’emozione diventa unica ed autentica. Fu un’illuminazione.
Il concetto di flow introdotto negli anni 70 dallo psicologo ungherese Mihaly Csikszentmihalyi è la conferma “scientifica” che cercavo, di una esperienza personale vissuta nel 2009, sul campo di gioco, a pochi minuti dalla fine di una partita. Volevo analizzare, comprendere e tentare di rivivere quei pochi effimeri secondi ai quali spesso ripensavo come ad un evento unico nel quale era racchiuso il senso di tutta la mia esperienza professionale. La curiosità, ossessiva, mi spinge nel web tra pagine di informazioni e studi effettuati nel corso di 50 anni di psicologia. Da qui il passo verso lidi culturali sconosciuti e sottovalutati è brevissimo. Dal flow alla mindfullness, alle discipline orientali. Meditazione trascendentale, yoga; le enormi possibilità di concentrazione attraverso (semplici?) esercitazioni sul respiro, sulle visualizzazioni mentali e sul vivere qui ed ora. Comprendo a 31 anni che i margini di crescita, dal punto di vista mentale, sono ancora tutti da sfruttare. Magari per chi mi conosce sembrerà strano, invece è così. La concentrazione è il mio punto debole; quante volte fatico a mantenerla durante la partita, quante volte mi distraggo anche durante un semplice dialogo tra amici o peggio con mia moglie. Amore te l’ho appena detto. Scusa amore non avevo capito. Introversione, distrazione, flusso confuso dei pensieri. Devo mettere ordine.
“Lo sai che hai capacità di scrittura sopra la media?” La dottoressa Starnotti dopo pochi incontri nei quali cercavo di comprendere e analizzare il flow da tutte le sue angolature, scopre il lato creativo della mia personalità. Certo, immaginazione ne ho sempre avuta, ma tradurla in maniera costante attraverso il linguaggio scritto non ci avevo mai pensato: i pensieri, le frasi, le storie si sono sempre contorte nel mio cervello, ogni giorno, e solo in isolati contesti sociali nei quali mi sentivo a mio agio (pochi) e dove potevo esprimermi senza assilli dettati dalle mie insicurezze ho trovato il modo per estrapolare le mie idee. Come ad esempio, a Bari, nello spogliatoio dello stadio San Nicola dove c’era una lavagna: dopo 3 anni in cui la guardavo, davanti a me e avevo insito nelle mani l’irrefrenabile impulso di prendere un gessetto e scrivere “cagate” per far ridere la squadra, decisi di iniziare e liberare il banale umorismo nascosto dietro la mia maschera. Ma non diedi seguito.
“Io ti consiglierei di continuare su questa strada, hai delle ottime potenzialità e credo faresti bene a condividere i tuoi racconti.” La scrittura nasce così, quasi per caso. E’ un processo che con il tempo sto imparando a conoscere: un’idea, una frase e un discorso, piano piano, parola dopo parola; certe giornate sono deleterie, spazzatura linguistica da cestinare prima di subito, altre fruttano storie inconsuete. Ho la consapevolezza dello spazio creativo nel quale mi rinchiudo spesso. Immortalare tutto su un foglio elettronico mi aiuta e mi libera, riesco a dare forma ai pensieri positivi, a quelli negativi, sintetizzando nelle parole la mia visione delle cose e del mondo. Ed ora sono qui con gli occhi sul portatile e la testa altrove a dar forma, per quanto possibile, alle emozioni che trafficano la viabilità interiore tra ricordi esperienze sogni.
Ci vorrebbe un vigile.