Papà, perché hai preso il mio posto a tavola? Nicole, al giorno d’oggi bisogna saper ricoprire tutti i ruoli. Difensore, attaccante, centrocampista, esterno alto ed esterno basso. Portiere. Il ruolo è una funzione, dicono. E che funzione hai te? Seduta li, capotavola? Sei forse una first line breaker? O una wide controller? E che funzione ho io che mi trovo al posto tuo? Che funzione ho se non quella di abitare questo mondo capovolto dove le parole trasmigrano e il significato, il vero significato delle cose sta solo nei fatti. Di quale complessità voglio parlarti Nicole? Forse dell’essenza che ci compone, di quelle piccole molecole che trasferiscono energia e che trasmettono emozioni. E’ una catena chimica, logica, semantica.
Una semplice catena legata ad altre catene, come io e te io e mamma io e Camilla io e Emily. Tu ed Emily. Tu. E Camilla. Le relazioni. E’ qui che risiede la dinamica, il movimento, l’impossibilità di rimanere statici nella stessa identica postura mentale. E’ impossibile. E’ l’universo, non credi? E non credere, che se non sto parlando di calcio significa che non parlo di calcio. Io sto parlando di calcio. Il calcio è solo una parola. Le parole sono ruoli. Le frasi, movimenti, tattiche. E la vita è un gioco infinito. E potrei diluire tutti i miei pensieri e farli defluire in un corso d’acqua e come vedi ho di nuovo capovolto le argomentazioni, in una connessione che in realtà porta solo a sfornare righe e righe di discorso stratificato.
Sono le ore 7.16, 10°C prevalentemente nuvoloso, 14.1 .
1.
Ma cosa cazzo fai? Urlò l’allenatore al ragazzino dopo il gol subito. Cosa. Cazzo. Fai?
1.5
Due cose prima di iniziare. Ho inserito nel cruscotto (le parole in blu) la playlist della settimana: 14.1. Cliccandoci sarete diretti alla pagina Spotify del mio profilo. Foto di copertina prodotta con Midjourney.
2.
Prendo spunto dall’ interessante intervista di Maurizio Crosetti a Donatella Scarnati (leggi qui) per confermare come il rapporto tra giornalisti e calciatori sia cambiato nei decenni. E’ vero: altri tempi quelli in cui i professionisti della carta stampata, armati di carta e penna, venivano ad assistere agli allenamenti a porte aperte o stanziavano nei pressi della squadra registratori vocali in mano, durante i ritiri estivi. Altri tempi quelli in cui il saluto amichevole era la norma e il dialogo extra campo non era un’eccezione. Altri tempi quelli in cui ci si relazionava a quattr’occhi, lasciando alla concretezza degli sguardi l’onere di captare sintonie o dissonanze. Tempi in cui nelle interviste postmatch il paniere delle domande era variegato e distribuito su più livelli di pericolosità dialettica. Tempi in cui mi fermavo a parlare di cinema con Franco Cirici e gli raccontavo dell’ultimo film di Park Chan Wook[1] oppure di quando, nella mia ingenuità giovanile e nelle parziali conoscenze del mondo pallonaro, confidavo ad Antonello Raimondo, con una velata e sorridente convinzione di fondo, che i giornalisti avrebbero dovuto integrare il loro sapere editoriale con le lezioni di un corso allenatori che li mettesse sullo stesso livello linguistico e “accademico” degli intervistati. Semplifico: voi giornalisti dovreste studiare un po' di calcio… Erano altri tempi. Veramente. Nonostante le confidenze temporanee, nutrivo sempre una sottile diffidenza alimentata spesso dal vociferare di compagni più navigati e inclini a incutere timore. Perché quello il lunedi sulle pagelle sega[2]… Poi sono state le esperienze e anche gli errori ad insegnarmi chi era meritevole di fiducia e chi no. Erano tempi in cui i giornalisti - che un mio ex allenatore in crisi di risultati chiamava giornalai - usavano block-notes e stenografia, dove le parole che dicevi non sempre erano le stesse che venivano riprodotte sui giornali ma poco importava, ti incazzavi e finiva lì perché una discrepanza nell’utilizzo creativo dei vocaboli poteva anche passare. Il senso alla fin fine era quello e la genuinità del rapporto non andava granchè persa. Credo sia difficile ora, pensare ad un rapporto del genere. Le generazioni sono cambiate e non saprei dire se questo sia meglio o sia peggio. Il tempo e il maggior risalto mediatico degli eventi - anche quelli dilettantistici - ha quasi cancellato quelle dinamiche ed ora, almeno nei campionati pro, esiste sempre almeno un filtro che vigila su ogni testata, ad ogni ora e su ogni sito, su ogni intervista, su ogni domanda e su ogni risposta. D’altronde, il seguito mediatico si è amplificato notevolmente. Ora gli addetti stampa si frappongono tra calciatore e giornalista, fanno il loro lavoro e sono necessari perché intercettano, selezionano e mantengono equilibri non sempre idilliaci tra società sportiva e media. Il rapporto sempre più distante tra calciatore e giornalista diventa sempre più collaborativo tra addetto stampa e calciatore. In questo triangolo dalle relazioni scalene si riduce la possibilità di muoversi del giornalista e la flessibilità del calciatore che risponde in automatico, senza lo stress del franco confronto. A volte quando mi capita di vedere vecchie interviste degli anni 90, se non degli anni 80, rimango stupito per la libertà espressiva delle risposte e per l’italiano educato e figlio delle precedenti generazioni. Un dialogo senza nessuna figura ad interporsi, senza pose o telecamere fisse, senza quei vincoli comportamentali e linguistici che si sono evoluti nel corso degli anni come se fossero una barriera dietro la quale proteggersi. La Scarnati dice, a ragione, che oggi i calciatori sono inavvicinabili. Calza a pennello. Questa inavvicinabilità l’ho percepita spesso dagli anni 10 in poi: ricordo bene la sensazione di comfort comunicativo alle interviste o alle conferenze stampa. Domande non troppo ostiche alle quali il “livello di difficoltà” e l’esperienza precedente acquisita mi consentivano di sbrigare senza assilli un compito che nei casi peggiori diventava una scocciatura rapida e indolore. Utilizzavo sempre un registro comunicativo estremamente chiuso, pochi sorrisi, tono monocorde adatto per assopire anche le persone più elettriche. Non che mi dispiacesse per carità; questo modus operandi toglie una valanga di magagne e ti garantisce la giusta tranquillità su aspetti della professione che, per quanto possano risultare di secondo piano, diventano di primissimo agli occhi della gente e soprattutto dei tifosi. L’inavvicinabilità tutela il calciatore, lo protegge e lo rende più omologato alla generalità di risposte sempre uguali a domande prevalentemente uguali. Credo sia la naturale evoluzione delle cose e penso vada anche accettata. Ricordandosi che dietro ad ogni intervista e ad ogni atleta c’è un mondo che sarebbe bello ogni tanto scoprire. E modalità per farlo uscire, questo mondo ce ne sono. Eccome se ce ne sono.
3.
Amore domani pomeriggio andiamo a fare aperitivo? Mi domanda Deborah. E’ in quel mezzo secondo di attesa che si spalanca un mondo. Allr… dmn… stsr Nznl… nnt sr A… nnt Sr B… Sr C.. k.. ch prtt ll 18.30? Grn A, Grn B, Grn C…Deborah mi guarda. Stai pensando alle partite…
4.
Qualche settimana fa, parlando proprio con Deborah e disquisendo su abitudini quotidiane consolidate, ci siamo soffermati sui gesti e comportamenti che per venti anni ci hanno accompagnato prima e dopo le partite. Non si tratta di scaramanzia ma di un rituale che si avvicina sensibilmente ad essa e che rimane ancora confinato in quel fare automatico privo di collegamenti con formule magiche e scongiuri. In particolare una cosa è rimasta pressoche in pianta stabile per due decenni. E’ una frase (tecnicamente un periodo), che lei mi ripeteva sempre sulla soglia della porta di casa prima di partire per ogni gara. Con il sorriso sulle labbra e con una dolcezza inscalfibile mi ripeteva sempre: Vai piano e non prendere botte. Di nuovo un sorriso, io che prendevo il mio trolley e la porta che si chiudeva. Il vai piano era proferito come raccomandazione per il viaggio in automobile dalla dimora al luogo del raduno, solitamente lo stadio o il centro d’allenamento. Il non prendere botte invece era una chiara indicazione sul comportamento[3] da mantenere in campo onde evitare infortuni che mettessero in pericolo la mia incolumità. A parte una spalla lussata e una testata dopo la quale venni trasferito al pronto soccorso per una Tac, la lista degli spaventi è rimasta circoscritta a casi isolati e senza dolorose conseguenze. Oltre a ciò con Deborah abbiamo anche fatto il punto sui segnali comportamentali più o meno evidenti che notava in me nei pressi delle partite. Qualcosa ne è uscito. La più lampante dimostrazione esterna della concentrazione che imprimevo sulla partita prima della gara era nella chiamata telefonica che verso le 8.30 del mattino le facevo sempre. Dal mio tono di voce, Deborah capiva chiaramente la mia condizione mentale, se fossi più o meno concentrato e quanto sentissi la partita. Questo aspetto era palese: il tono di voce secondo lei era più teso e i discorsi più distaccati, un dialogo nel quale denotavo una parziale assenza emotiva. Lei la chiamava semplicemente antipatia pregara. Un altro tic caratteristico della tensione che conservavo era dettato dal masticamento delle chewing-gum (questo più che altro nel periodo Toro) nell’ora che precedeva il match: nel periodo che intercorreva tra l’entrata negli spogliatoi e il warm-up, prendevo sempre una se non due gomme da masticare, Brooklyn gustolungo, che avevano una struttura gommosa ideale per scaricare lo stress tipico dell’avvicinarsi alla gara.
[Disgressione inutile: personalmente il chewing-um ideale da masticare sarebbe stata la Bigbabol ma il gusto non lo ritenevo coerente (chissà per quale fissa mentale) con l’importanza dell’evento, nemmeno per un amichevole. Le gomme alla menta con gusto più o meno acceso come le Daygum o le Vigorsol erano troppo piccole e incosistenti per il lavoro mandibolare al quale sarebbero state sottoposte.]
Poi c’era la cena post gara. Lì, Deborah si è superata. Il rapporto tra parole pronunciate e masticamento del cibo da parte del sottoscritto aveva una variazione che aumentava drasticamente in caso di sconfitta. Diciamo che più o meno nei casi peggiori il rapporto era 1:10. Quindi, quando iniziavo nel dire una frase, dopo una parola utilizzavo dieci masticamenti prima di dire la successiva. Certo è difficile definire cosa si intende per masticamento ma credo di essere stato abbastanza chiaro sull’argomento. Non potrò mai dimenticare a tal proposito un piccolo aneddoto - una cena dopo una brutta sconfitta e con la classifica che non sprizzava grande gioia - nel quale gustando la pietanza, il volto di Deborah si è sovrapposto a quello dell’allenatore del tempo. D’un tratto, mentre mangiavo con gusto il petto di pollo e le patate che mia moglie mi aveva preparato, esclamai come a voler richiamare l’attenzione. Mister. Deborah mi guardò, incredula e mi chiese: ma che ce l’ hai co’ mme?
Ed infine c’erano i messaggi che tracciavano quasi sempre le stesse traiettorie. L’ ultimo che le inviavo prima della partita, prima di spegnere il cellulare, era questo: Amore adesso vado alla partita, vi amo.
5.
Natascha Lusenti, Radio2. Allora amici 348 7 300 200 come ci si riconcilia nonostante tutto con il calcio? Continuate a mandarci messaggi scritti o ancora meglio vocali.
Jaded di Miley Cyrus.
Secondo me potremmo provare a cambiare la prospettiva: invece di considerare il calcio professionistico un mondo fuori dal Mondo, potremmo iniziare a considerarlo come un mondo dentro il Mondo.
6.
Certe notizie inevitabilmente riavvolgono nastri conservati nel blog dell’ Archivio 14.
Visioni
Spezzoni di: Benevento-Picerno, Taranto-Crotone, Spal-Fermana
Ascolti
Loscil with Lawrence English. Colours of Air, 2023. Kranky.
Kali Malone (feat. Sthephen O’Malley and Lucy Railton). Does Spring Hide its joy, 2023. Ideologic Organ.
Newfound interest in Connecticut. Tell me about the long dark path home, 2021. Busy bodies.
Per giudizi o commenti:
[1] Nel 2003 uscì Old-Boy del quale rimasi affascinato.
[2] Scusate l’espressione, l’ho inventata adesso, credo renda l’idea.
[3] Facile intuire quale fosse per lei il comportamento da mantenere: evitare risse, evitare brutti tackle, evitare gomitate. Evitare testate e lanci delle monetine dagli spalti, bottigliette piene d’acqua. Fumogeni e petardi. Pallonate sulle tempie.