Alessandro Gazzi, il calcio con le persone al centro
Una carriera e una vita raccontate nel libro Un lavoro da mediano – Ansia, sudore e Serie A, edito da 66thand2nd.
Se l’impresa eccezionale è essere normale, Alessandro Gazzi è stato cintura nera di imprese eccezionali. Una carriera iniziata e conclusa in C1, a 20 anni con la Viterbese e a 38 con l’Alessandria (riportata tra i cadetti dopo 46 anni lo scorso luglio, la fascia di capitano al braccio). In mezzo le maglie di Bari, Reggina, Siena, Torino e Palermo, per un saliscendi tra Serie A e Serie B fatto di stagioni esaltanti, momenti interlocutori ed esperienze a tinte fosche, per un totale di 530 presenze tra i professionisti.
L’avventura di una vita nel calcio è raccolta in Un lavoro da mediano – Ansia, sudore e Serie A (66thand2nd), una sorta di memoir sportivo/sentimentale in cui Gazzi ci ricorda, soprattutto, che il calcio è di chi lo gioca, ovvero di quella vastissima platea di facce un po’ così che popolano gli album delle figurine. Facce normali, appunto, di persone normali, catapultate in un mondo che di normale ha poco o niente, un mondo iperaccontato nella sua dimensione più sbrillucicante, che può esistere soltanto a patto che per ogni Ibrahimovic ci siano cento Gazzi. Non troviamo in questo libro le spacconate dello svedese, le sue frasi a effetto e la sua smisurata ambizione shakerate da un ghostwriter. Troviamo piuttosto i sogni e i tormenti di un ragazzo con il quale è facile immedesimarsi, ed è questa la qualità più evidente del Gazzi scrittore, il suo mettersi a nudo con verità, arrivare al cuore delle cose senza troppi svolazzi: giocare semplice, uno o due tocchi.
Che in fondo il calcio è una faccenda da bravi ragazzi ce lo ha dimostrato l’attivismo di Marcus Rashford, o alcuni gesti plateali di certi bad boys incalliti dal cuore troppo grande per non essere anche troppo fragile. Ma l’esperienza di Gazzi si colloca a misura d’uomo, parla da vicino ai ragazzini che siamo stati, perché è nell’adolescenza che comincia la sua storia, quando le nostre storie si separano: lui, abituato sin da bambino a essere il più bravo di tutti, firma un contratto da professionista, noi continuiamo a tirar tardi la sera. Eppure ci risultano familiari le sensazioni, le incertezze di un giovane uomo sradicato da casa che cerca il suo posto nel mondo, in un corpo a corpo costante con le proprie inadeguatezze alla scoperta di essere, in fondo, uno tra tanti.
Ci sono, in questa vita d’atleta, tutti gli elementi del romanzo di formazione. Ogni certezza conquistata è una certezza precaria, e mai il calcio è stato metafora della vita come in questo libro. Da un lato il privilegio economico, dall’altro la sensazione che tutto possa finire da un momento all’altro. L’imprevisto è sempre in agguato e assume forme diversissime: un infortunio di troppo quando tutto sta andando per il meglio, l’esonero di un allenatore o anche più semplicemente un cambio di modulo, un presidente romanzesco e cialtrone che fa evaporare il club rendendoti disoccupato a 21 anni. Tutto cambia troppo in fretta nel calcio, e alla maniera darwiniana sopravvive solo chi si adatta al cambiamento.
Alessandro ha dovuto combattere per trovare la forza di sopravvivere agli stravolgimenti. Ha combattuto la sua timidezza e soprattutto la sua ansia, le sue fragilità, in un mondo – quello dello sport – che soltanto di recente sta trovando il coraggio di mostrarsi fragile (pensiamo alla dolorosa esperienza di Simon Biles agli ultimi Giochi Olimpici). L’ansia gioca un ruolo fondamentale in questo libro, è un nemico oscuro capace di paralizzare gambe ben allenate, un nemico tenuto a bada grazie alla scrittura, che ha permesso a Gazzi di mettere in fila i pensieri e di mettere a fuoco se stesso, di conoscersi, di affrontarsi. Ed è questa sua capacità di introspezione che rende Un lavoro da mediano un testo capace di arrivare anche a una platea di lettori laici, non praticanti o addirittura privi di abbonamento DAZN.
Ma, al tempo stesso, chi ama questo sport non resterà deluso. Gazzi è abile nel tratteggiare le sfumature, le grandi o piccole differenze tra erie A, B e C: «è molto strano: più si alza il livello e più sembra di avere spazio e tempo per giocare!». Molto riuscite le pagine dedicate a un giovane allenatore, Antonio Conte, che ai tempi del Bari cercava di indirizzare la sua carriera dopo un partenza così così ad Arezzo. La durezza del suo metodo, la fatica e lo stress come compagni di viaggio, l’allenatore-martello che non lascia un attimo di respiro e che per questo lascia letteralmente senza fiato quando, dopo una brutta sconfitta, alla ripresa degli allenamenti, mentre tutti si aspettano l’ennesima sfuriata, legge If di Kipling direttamente negli spogliatoi del San Nicola. Tre giorni dopo il Bari riprenderà a marciare con una tripletta di Ciccio Caputo, sarà l’anno della promozione in serie A.
Dopo verrà Giampiero Ventura, che Gazzi racconta senza pregiudizio e soprattutto senza il senno del poi, riabilitando il tecnico ligure come l’innovatore del pallone che a lungo è stato, prima del disastro con la Nazionale. Ha tanti colori, insomma, questo libro, così come il suo autore, oggi collaboratore tecnico dell’Alessandria ed ex calciatore – ma anche blogger, appassionato di musica e cinema, studente prima al Dams e poi in Scienze motorie, forte lettore, padre e marito.
Un lavoro da mediano è una riflessione sullo sport con al centro le persone, una riflessione sul tempo che scorre e sullo spazio che cambia in un campo di calcio, a seconda della percezione, dell’umore, di chi lo percorre. Parla di bellezza e felicità, di luci e ombre, compresa quella del calcioscommesse: una squalifica di tre mesi per omessa denuncia, un’insidia affrontata a testa alta che ha il retrogusto della polpetta avvelenata. Del resto «giocare a calcio ad alto livello è una montagna russa sulla quale, quando sali, dimentichi tutto il resto. […] L’unica cosa che conta diventa il tuo stato d’animo, il tuo gioco e la felicità che ne consegue».