IMPIETOSE STATISTICHE INFANTILI

ARTICOLO PUBBLICATO SULLA RIVISTA "IL VESES. FINESTRE SULLA VALBELLUNA"

Immaginate il primo tornante che da San Gregorio scende verso Muiach: per intenderci, quello un po’ più largo dal quale si scorge il campanile di Cergnai ed il suo centro urbano. Li, più o meno ad otto anni, elaborai un calcolo, un’idea e un’immagine che mi sarebbero rimasti impressi per tutta la vita e che avrebbero caratterizzato il mio processo di crescita sportiva. Andò all’incirca così: in auto, mentre papà curvava a sinistra e mamma controllava la guida del papà, io e Rebecca oziavamo nei posti posteriori aspettando di arrivare a casa. Avevamo appena concluso il pranzo domenicale dai nonni; la domenica calcistica stava per cominciare e mentre divagavo tra fantasie sportive di alto livello, San Siro stracolmo, il Milan e Van Basten, ad un certo punto, papà mi pone il quesito:”Sai quanti bambini diventano calciatori?” Probabilmente avevo divagato troppo e alcuni pensieri verbalizzati avevano svelato ingenue ma sane ambizioni. Spiazzato dall’interrogativo che già mi era stato posto in altre occasioni ma con altre parole rispondo di no. “1 su 6000” dichiara papà. “Quindi le possibilità sono minime, ci vuole molta, molta fortuna”. A quel punto, rispetto ad altre volte, pensai. Per prima cosa, per dare un limite spaziale al valore 6000, associai le 6 migliaia al comune di Santa Giustina che sapevo contasse su per giu quel numero di unità; poi immaginai al posto degli abitanti una folla di 5999 bambini raggruppata in non so quale piazza. Nella mia visione erano veramente tanti e in mezzo a quelli c’ero anche io. Infine, immaginai un ragazzino senza volto che da grande sarebbe diventato calciatore. Non sono mai riuscito a definire il suo viso, mai. Ricordo solamente che lo posizionai su qualche palco (simile a quello che montavano al Palio delle frazioni o al Carnevale del Kalieron), più in alto degli altri e sul quale tutti lo potevano vedere. Sarebbe stato lui il fortunato al quale sarebbe spettato un roseo futuro calcistico. Alchè, definito tra i neuroni della mia testa il quadro definitivo e giunti all’incrocio di Sartena prima del Bar della Bianca, sentii un lieve dispiacere contenuto sotto una piatta serenità. Ero tranquillo e misi l’animo in pace. Forse avevo forzato troppo le inclinazioni sportive e papà aveva deciso di dare una contenuta ridimensionata ai miei gloriosi progetti. Diventare un calciatore sarebbe stato per me un sogno sepolto sotto impietose statistiche infantili. Per fortuna.