Articolo pubblicato sulla rivista "Indice dei Libri".
Paul Dietschy, Stefano Pivato.
Storia dello sport in Italia.
Pag. 280, € 21, Il Mulino, Bologna, 2019.
Recensione di Alessandro Gazzi
A volte capita di prendere in mano un libro, osservarne l’immagine di copertina, soppesarne a un primo sguardo la densità e infine, per pigrizia, posarlo di nuovo sullo scaffale. A volte capita, è vero, ma molto spesso si sbaglia, e conviene tornare sui propri passi. È successo anche a chi scrive, di fronte saggio Storia dello sport in Italia scritto da Paul Dietschy e Stefano Pivato ed edito da Il Mulino. Un testo denso e completo, che sarebbe ingiusto ridurre a semplice cronistoria di un fenomeno sociale redatta con finalità divulgative. Tutt’altro: titoli come questo sono essenziali per lo sviluppo di un discorso informato sullo sport e le sue molte manifestazioni. Oltre che per il lavoro onesto e sostanzioso di ricerca che è alla base del libro, il merito dell’indagine dei due autori sta soprattutto nella prospettiva da cui osserva lo sport, un grandangolo, un campo larghissimo che affronta la moltitudine dell’ambito sportivo sotto un aspetto storico e socio-politico.
In primo luogo, Dietschy e Pivato si pongono il problema di definire lo sport, di inquadrarlo nella sua storicità e di approfondire l’evoluzione del suo significato, tornando rapidamente agli inizi dell’Ottocento: già all’epoca, ci dicono, l’Italia non ancora unita era però intessuta di sport fino al midollo, praticato a ogni latitudine e da ogni classe sociale. All’interno del saggio, diviso in sei capitoli, ci si concentra in particolare sulla centralità che lo sport italiano ha avuto nella vita politica, economica, sociale, pedagogica, culturale e consumistica del popolo. La sua capacità di essere assorbito come parte integrante di un sistema ben più grande che ha plasmato non solo la quotidianità collettiva ma anche leggi, consumi, dibattiti, filosofie, polemiche, violenze. Ha ragione, insomma, chi dice che lo sport è politica: lo dimostra, nel corso della sua evoluzione italiana, il ruolo centrale che ha avuto nella rappresentazione estetica del regime fascista. Anche a guerra finita, in ogni caso, lo sport non smette di flirtare con la storia: si pensi alla sua importanza nel Sessantotto, al suo ruolo evasivo negli anni di piombo (anni d’oro, in realtà, per la diffusione del nostro movimento nel mondo), o ancora si pensi al significato culturale e simbolico che l’industria sportiva ha oggi, nell’età della globalizzazione.
Qui dentro, insomma, c’è tutto il necessario per un’ottima lettura, ma proprio tutto: dalla cronaca delle grandi imprese agonistiche a pagine più fitte riguardanti la legislazione sull'educazione fisica a scuola, dalla nascita della stampa sportiva – e siamo un caso emblematico, con tre quotidiani sportivi nazionali – allo sviluppo di trasmissioni radiofoniche e televisive dal Novecento ai giorni nostri. I due autori hanno uno sguardo onnivoro ed enciclopedico, che riesce a spaziare dalla costruzione del mito del Grande Torino alle imprese alpinistiche del dopoguerra, con l'eroica scalata del K2. Ci si avventura nella boxe di Primo Carnera, negli orgogli nazionali del magnifico atleta “cristiano” Bartali e del Coppi campione della sinistra; si ragiona sulla nascita del tifo nelle strade dei grandi giri ciclistici; ci si addentra poi nel ricordo dolceamaro di Italia ’90, ma anche nelle velenose pieghe del doping e nella corruzione del calcio del Duemila. Tutti macro-fenomeni ed eventi, questi, approcciati con omogenea maestria, analizzati nel dettaglio ma sempre con un occhio al principale binario sportivo della storia del nostro paese. Un saggio, in definitiva, che fa dell’accurata ricerca e della bibliografia sterminata i suoi punti di forza e il suo marchio di credibilità; il lettore che vi si avvicinasse troverà un continuum narrativo dettagliato e coerente, forte di una sintesi – e di una selezione, ovvio – che consente agli autori di ridurre in poco meno di trecento pagine un materiale in potenza sterminato.