Recensione pubblicata sull' "Indice dei libri".
Mauro Berruto
CAPOLAVORI
Allenare, allenarsi, guardare altrove
pag. 208, € 16
Add editore, Torino, 2019
Forte di una comprovata esperienza sportiva e di una formazione universitaria piuttosto laterale rispetto al mondo dello sport, Mauro Berruto, che ha una laurea in filosofia e attualmente svolge il ruolo di direttore tecnico delle squadre olimpiche italiane di tiro con l’arco, espone nelle circa duecento pagine di Capolavori una sintesi efficace del suo percorso professionale e della sua visione sportiva a tutto tondo. Lo fa a suo modo, tracciando un lungo percorso che all’inizio può sembrare di stampo prettamente autobiografico, ma ben presto se ne discosta e si articola in una fluida rete tra sport, psicologia, filosofia, arte e antropologia.
L’autore divide il testo in due sezioni: somiglianze e capolavori. Mentre la prima parte è ricca di esempi e consente al lettore di familiarizzare gradualmente con le impalcature e le teorie di Berruto, nella seconda si fa largo una divagazione di matrice quasi esclusivamente artistica, nel senso più ampio del termine. Ecco dunque, all’inizio, concretizzarsi le idee dell'ex CT della nazionale di volley maschile, che dalla sua prestigiosa tribuna professionale ci proietta nel cuore del suo modus operandi raccontandoci le sue influenze, i suoi pensieri, le sue convinzioni e gli eventi decisivi nel suo lavoro. Folgorato a sette anni dal “dieci perfetto” di Nadia Comãneci a Montreal, influenzato dalla monoidea del qui e ora e dall’importanza capitale del “fare bene il gesto”, catechizzato fino all’ossessione dalla cura maniacale per i dettagli, Berruto riesce a far convivere nelle stesse pagine Muhammad Ali, Hemingway e Charlie Chaplin.
Fanno capolino nel testo le sue esperienze in Grecia ma soprattutto in Finlandia, dove approfondisce il concetto di Sisu, quindi la mentalità vincente e di pari passo ciò che lui definisce egoismo di gruppo. Nel ritmo regolare della lettura, senza accelerazioni o frenate, si possono cogliere aneddoti kafkiani che vanno a braccetto con osservazioni sulle dinamiche di gruppo e con nozioni ricavate dalla psicologia sportiva. Non sono da meno i risvolti zen del tiro con l’arco e le cronache dei suoi ultimi impegni come direttore amministrativo della Scuola Holden di Torino. Ma il vero tuffo letterario, come suggerisce la copertina, sono i pannelli della seconda sezione del libro: partendo dai quadri di Turner, Berruto ci accompagna fino a Yves Klein, attraversa agilmente i romanzi di Cortazar e il barilete cosmico di Maradona, stabilisce un legame estetico che accomuna i grandi capolavori dell’arte – il Mosè di Michelangelo e le statue di Lisippo – alle performance sportive rimaste nella storia, una su tutte quella del nostro Jury Chechi ad Atlanta nel 1996.
In chiusura, le tre cifre più spiccate di questo volume: la sua leggerezza priva di superficialità e piena d’idee; l’essenzialità e il rigore dell’autore, che riesce a inquadrare la propria storia in termini ben più significativi del solito memoir. Infine, ovviamente, l’equilibrio formale e narrativo di questa miscela che accosta e fa dialogare sport e arte, un saldo connubio che conferma quanto lo sport possa e debba essere considerato alla pari di altre discipline culturalmente ben più quotate.