FORMAZIONE DI BASE

Anni 90...

L’altro giorno, dal parrucchiere, ho intercettato con l’orecchio sinistro il dialogo tra il barbiere ed il giovane cliente che dimostrava su per giù sedici anni. Con moderata sorpresa mentre mi guardavo allo specchio osservando l’operato delle forbici in azione, apprendo che il ragazzino sotto manutenzione cappelluta non conosce i due giovani pilastri della nazionale nipponica più forte di tutti i tempi. Holly e Benji. Per intenderci il celeberrimo cartoon che ad inizio anni 90 ha “plagiato” migliaia di bambini compreso il sottoscritto e ridefinito le coordinate immaginarie della generazione 80. Non è la prima volta che capita di imbattermi in un siparietto di questo tipo; già nell’ultimo periodo, con i giovani compagni di spogliatoio, mi era capitato di venire a conoscenza che il Capitan Tsubasa (questo il vero nome del bomber protagonista) tanto caro alla mia generazione, era evaporato nel corso degli anni spodestato da manga di riferimento di tutt’altro genere. I Pokemon su tutti. Sconfortato ma consapevole che anche e soprattutto per queste sottigliezze generazionali i miei 35 anni cominciano a farsi sentire, ogni volta che sento nominare i due campioni giapponesi un tuffo al cuore mi catapulta ai tempi dell’infanzia e di quella che è stata per me la “formazione” calcistica mediatica di riferimento. E tralasciando i campioni giapponesi inseriti alla perfezione in un contesto mediatico che li ha valorizzati al meglio, la proposta calcistica di cui ho memoria e sulla quale ho costruito le basi per il mio immaginario pallonaro non era varia e distribuita come ora tra social, tv private, applicazioni di tutti i tipi. Verteva sostanzialmente su due principali fonti ed in particolare in un giorno specifico della settimana: la domenica. Nel paesino della provincia di Belluno nel quale sono cresciuto, il finire degli anni 80 era caratterizzato ancora dall’uso esclusivo di radio e televisione: scordatevi le pay tv, smartphone, social e tutte quelle innumerevoli fonti dalle quali attingere oggi tra film, cartoni, serial e quant’altro. La tecnologia ha fatto passi esorbitanti e la sua rapida evoluzione fa sembrare il periodo storico di cui sto parlando un tempo ormai lontano. 30 anni fa il tubo catodico dominava nelle case, la radio in uffici automobili e locali pubblici. Ed il calcio nazionale e mondiale veniva trasmesso solo ed esclusivamente attraverso questi due mezzi di comunicazione. Ricordo bene le fonti calcistiche alle quali attingevo: non essendoci la diretta televisiva dell’intero campionato ed essendo le partite concentrate alle tre del pomeriggio del giorno del Signore, l’unico modo per tenersi aggiornati in tempo reale sui risultati era ascoltare “Tutto il calcio minuto per minuto” su Radio1 oppure consultare la pagina 202 del Televideo. Seguire le partite alla radio è un’esperienza unica: ascoltavo il brusio di fondo dello stadio, la voce del radiocronista e l’enfasi che metteva nel descrivere le azioni di gioco. Le possibilità di immaginazione indotte sono uniche, il linguaggio verbale è sempre variegato e la diretta conserva la possibilità di disegnare con invisibile suspense ciò che può accadere, elaborando un’immagine mentale ben definita. Ricordo come se fosse ieri l’emozione e l’ansia di sapere in diretta delle sorti della mia squadra del cuore, il Milan: c’era una tensione di fondo che mi metteva in costante agitazione per tutto il tempo in cui rimanevo legato alla radiolina perchè volevo avere “la situazione sotto controllo” della squadra milanese. Il solo fatto che il collegamento passasse a squadre che non mi interessavano minimamente, mi creava una frustrazione incredibile. Si certo per un bambino “era bello lo stesso” ma avevo quella sensazione che in qualsiasi momento e dico qualsiasi momento in cui non ero collegato, potesse succedere qualcosa. Gol fatti, gol subiti, pali e traverse, incroci, espulsioni. La fantasia temeva sempre il peggio, giusto per non essere troppo ottimisti. Il periodo del non collegamento era frustrante, ansiogeno. Non vedevo l’ora che finissero il giro dei campi e si ricollegassero dallo stadio sul quale verteva la mia concentrazione. Il Milan di Sacchi, Van Basten Gullit e Rijkard. Mi guardavo attorno, in cucina, in auto o nell’ufficio di papà e non trovavo nulla, proprio nulla che potesse moderare la mia agitazione. La tensione rimaneva vigile ed io trepidavo al solo pensiero di un nuovo collegamento. E proprio nei primi istanti in cui il radiocronista descriveva ciò che stava succedendo ecco allora si in quel momento l’agitazione corporea si affievoliva ed io bambino in trance onirica ma ben piantato in una realtà che mi vedeva seduto e teso, seduto e agitato, potevo godermi la rassicurante voce del rauco e inimitabile Sandro Ciotti di turno. La radio, che offriva la diretta esclusiva del racconto calcistico domenicale era ancora il primo ed esclusivo mezzo di aggiornamento. Si certo come ho già scritto c’era la pagina 202 del televideo ma rimanere per diverso tempo incollati allo schermo vedendo lampeggiare qualche risultato non aveva lo stesso sapore del racconto a parole profuso dalla radio. Non c’era nulla da vedere. Solo da immaginare. E immaginare comportava due cose: la prima che l’evento immaginato era tuo e solo tuo e lo potevi manipolare in qualsiasi modo vivendolo e rivivendolo (una rovesciata di Van Basten era sempre tecnicamente perfetta e il gesto atletico nella testa aveva una durata di almeno 3 4 secondi). E dunque avevi la possibilità di godere del frutto della tua fantasia. La seconda che la proiezione dell’immagine sedimentata nella mia coscienza veniva scossa alle ore 18.00 (se non erro) dalle immagini di 90esimo minuto. Lì l’embrionale film mentale che avevo concepito si trovava a dover fare i conti con l’immagine televisiva riprodotta, verità visiva nella quale mi ci immergevo con la massima attenzione. 90esimo minuto era l’appuntamento fisso di milioni di persone e, quasi sempre, il mio (su questo argomento Antonio Dipollina 90esimo minuto). La trasmissione emanava almeno per me un’elettricità pazzesca: filava tutto nel giro di una quarantina di minuti, risultati, quote e montepremi dell’allora totocalcio, classifica collegamenti con i telecronisti regionali, servizi tanto sintetici quanto essenziali. Non c’erano spazi vuoti che potessero annoiare perché la durata della trasmissione era tale da contenere il necessario per l’imberbe divoratore di calcio che ero al tempo. Tutto per me aveva un valore speciale ed anche il più insignificante dei dettagli mi incuriosiva: il colore delle maglie, i tifosi sugli spalti, i gesti tecnici dei calciatori, il terreno di gioco, osservavo le cose come se attraverso quelle frequenze visive si nascondesse una certezza assoluta, l’unica che avrebbe ridimensionato la mia fantasia a canonici flash da conservare con cura come se avessero un valore segreto e particolare.