L' INFORTUNIO PIU' BELLO DELLA MIA VITA (parte 2)

Infortuni...

Sul lettino della stanza della fisioterapia, sul quale ero sdraiato per le cure mediche del caso assistetti al singolare cambiamento del mio stato d’animo. Osservavo con attenzione il contesto articolare interessato al trauma: tendeva lentamente a gonfiarsi, un leggero formicolio sottocutaneo andava e veniva ed il dolore, che aveva superato da qualche minuto la fase più acuta, si era generalizzato all’intera articolazione. Fu proprio mentre il fisioterapista mi sottoponeva ad un controllo approfondito che il mio umore cambiò virando in una direzione opposta da quella che normalmente è provocata da un infortunio. Il gonfiore e il pulsare del sangue mi svuotarono in pochi attimi da quell’apatia che travasava da giorni. Sebbene nei primi istanti fossi flebilmente convinto che quella distorsione potesse essere considerata come un’altra “mazzata” ad una stagione che era iniziata male (squalifica per omessa denuncia fino a novembre) e stava continuando nel peggiore dei modi, nel profondo qualcosa mi sosteneva a ritenere l’evento traumatico una sorta di “fortuna” accorsa al momento giusto. Più pensavo allo stato d’animo che permeava le mie giornate, più sentivo che la riabilitazione necessaria a rimettermi in piedi sarebbe stata la cura giusta ai miei tormenti emotivi avendo così il tempo necessario per ricaricare le batterie motivazionali quantomeno logore. Nel giro di un niente scomparirono tutti gli assilli: il grigiore se ne andò e i dubbi e le certezze professionali e familiari che martellavano la testa in quel mese di mercato balordo vennero spazzati via da una serenità inattesa. Strano a dirlo ma in quel momento, in quel contesto, con quell’umore, il semplice fatto di armarmi di stampelle per qualche giorno, mi diede una carica incredibile: ero del tutto sorpreso da questo capovolgimento straniante. Le poche volte in cui sono caduto in problematiche fisiche la prima reazione all’evento negativo mi lasciava per qualche giorno nello sconforto; credo sia comune ad ogni calciatore il fatto che il periodo di riabilitazione corto o lungo che sia, assuma toni che variano dall’amara delusione all’entusiasmo in una catena variabile di sensazioni fatta di piccoli e quotidiani cambiamenti d’umore. Ma questa volta l’atteggiamento così sereno e motivato nonostante l’annata anonima mi ha consentito di rivolgere tutte le mie attenzioni ad unico obiettivo: guarire, rimettermi in piedi e ritornare ad allenarmi con la squadra. Il mese riabilitativo e di riatletizzazione fu il periodo più stimolante della stagione: con Luca, il preparatore atletico con il quale lavorai, facemmo un ottimo lavoro; devo ammettere che lui non solo riuscì ad entrare con il sottoscritto in grande sintonia, ma riuscì a stimolare la mia curiosità verso aspetti della preparazione atletica che non conoscevo. E poi la sua verve comica dal vago sapore anglo demenziale fece il resto del lavoro. E’ importante avere qualcuno che ti ascolti, oltre a tua moglie, nei momenti difficili.  Abbandonata così la frustrante routine di negatività legata al campo del gioco non gioco mi vede non mi vede me ne devo andare che cazzo o madonna un'altra panchina, perchè non entro non è il mio ruolo è il mio ruolo, perche non gioco forse non mi impegno e via dicendo, la mia mente si concentrò sui più piccoli e percettibili miglioramenti della caviglia: valutavo il grado di gonfiore che si stava affievolendo, l’ematoma scendere verso la pianta, il dolore diventare sopportabile fastidio; analizzavo ogni piccola variazione quotidiana, svolgevo volentieri le terapie del fisioterapista e percepivo grande soddisfazione per ogni miglioramento. Non che camminare sulle stampelle fosse comodo, ma affidarmi ad esse per qualche giorno significava alleggerire il peso di una complicata situazione sportiva. Vivevo in un limbo: i primi passi, le prime corsette attorno al campo, gli esercizi di forza in palestra erano un nuovo splendido inizio. Sotto la pioggia o sotto il sole vedevo tutto con occhi spensierati e sentivo di aver ritrovato la tranquillità di cui avevo bisogno.  Fu così che quello strano e luminoso limbo dal quale giocoforza prima o poi ne sarei dovuto uscire divenne per me il luogo di ricarica mentale ed energetica che avrebbe segnato inequivocabilmente la mia permanenza nella città della Mole fino alla fine della stagione.

 

Diluvia. Io corro attorno al campo. Luca mi guarda, fradicio sotto il freddo di febbraio e pensa al gattino appena preso. “Lo chiamerò Gatsy”.