CENTRALE ELETTRICA

La prima conversazione con Mister Antonio Conte...

Non c’è altra soluzione. Un ritiro.

Quattro giorni. Fatto come si deve.

Navighiamo nella merda, ci dobbiamo tirare fuori al più presto, altrimenti sono dolori…

Hotel Villa delle Rose, Pescia, Toscana.

 “Sono appena arrivato, ho dovuto fare delle valutazioni sull’organico che ho a disposizione, capire su chi potevo puntare e osservare da vicino ragazzi che non conoscevo bene.” Antonio Conte esordisce così. Lo capisco, è arrivato a Bari da poco più di due settimane, con la squadra impantanata nella melma dei bassifondi cadetti. Con lui, 2 partite, 2 sconfitte, 0 punti. Prossimo avversario, il Pisa di Ventura. “So che ti ho penalizzato, siamo a gennaio, magari hai già pensato di valutare altre strade.”  Il morale personale è pessimo, me ne voglio andare via da Bari, ho bisogno di respirare aria nuova. Con il nuovo tecnico non ho giocato ancora un minuto, men che meno mi ha preso in seria considerazione, fatico a credere di poter essere utile ed importante per questa squadra. Accumulo, continuo ad accumulare: demotivazione, apatia, lamentele, mancanza di veri obiettivi al quarto anno barese. Salvezza discreta, salvezza discreta, salvezza sul filo. “… io ti dico che tu per me sei un giocatore importante. Sei importante per la squadra e nel modulo che sto utilizzando tu hai le caratteristiche giuste per fare uno dei due centrocampisti centrali.” Stento a credere alle sue parole. Fatico. Non capisco se utilizza le classiche frasi di circostanza per tenere sulla corda gli uomini a disposizione o mi parla in maniera limpida: il tempo e l’esperienza, mi hanno insegnato a non farmi attrarre troppo dal magnete linguistico che gli allenatori adottano con i calciatori. Mantieniti distante. Lo osservo. Devo valutare ogni parola, pesare ogni frase con precisione; ogni espressione del viso segnala la frequenza emotiva alla quale è doveroso agganciarsi, per capire quale sia… la verità sottostante. Quale diffidenza oramai ho consolidato! Quale sfiducia! “Ti ho lasciato fuori queste prime due partite perché avevo bisogno di conoscere tutti i giocatori e ancora non ti vedevo inserito negli schemi.” Di nuovo, mi parla l’allenatore che vuole tenermi buono o il mister che crede in me? Sono sospeso. Su questo labile confine tra ciò che sento dentro e le convinzioni che il mister mi trasmette navigo interdetto alla ricerca di un nord qualsiasi. Poche informazioni per orientarmi, non conosco ancora bene la persona che ho di fronte. L’unica cosa che so è che mi sta parlando un allenatore che a primo impatto mi è sembrato determinato, preparato. Ambizioso. La sua metodologia di allenamento mi ha entusiasmato, il suo credo tattico folgorato, le sue scelte domenicali deluso. Prima ancora che me ne renda conto, nel giro di un niente, sono entrato nella brodaglia di pensieri negativi che ultimamente si fanno largo nelle piattezze del mio mondo motivazionale: l’entusiasmo, la voglia di competere e di mettermi in gioco stanno venendo sempre meno. Cosa può riaccendere quel fuoco, se non la scelta di abbandonare tutto alla ricerca di nuovi stimoli? Sono impelagato in una mentalità mediocre, credo che il calcio sia un fottuto lavoro e non ci sia nulla da scalare; a intermittenza ricompare come un ricordo che si staglia segnando il fondo mai più raggiunto, la depressione sportiva che mi ha colto a 20 anni e che ha squartato la linearità della mia vita prosciugando energie, sogni, prospettive. Ora, a cinque anni dalla mia fine, la vita sportiva è un blando saliscendi senza sussulti e l’aridità dei neuroni esalta difetti, paure, incertezze. Sono arrivato ad un preciso punto morto nella mia modesta, anonima carriera.

“Alessandro, giocatori come te, in serie B, non ce ne sono.”

Nel buio pesto di chissà quale notte senza stelle, la luce. Una radiazione elettromagnetica si infiltra, sfiora filamenti, striscia fili carichi. La centrale elettrica. L’effetto visivo generato equivale al dubbio che si insedia nell’assenza che porto dentro. Antonio Conte lo butta lì quel dubbio con un sorriso sincero, come se avesse sentenziato con grande naturalezza, una valutazione obiettiva che reputavo fuori dal mio ordinario pensare. Giocatori come me in serie B non ce ne sono. Io lo fisso negli occhi. Lui mi guarda. Colui che il primo giorno che ho conosciuto, presentandosi alla squadra, mi ha fatto capire chi vuole diventare, crede che io sia la persona giusta per il raggiungimento dei suoi obiettivi. Credigli. Giocatori come me in B non ce ne sono. La luce ha un suono. Giocatori come me in B non ce ne sono. Diventa eco. Giocatori come me in B non ce ne sono. Non eco. Obiettivo.

Al che, con moderata pacatezza e mantenendo una distanza professionale consona al momento mi congedo “Va bene mister, ci sono.”  

Fibrillo.