Un estratto della Tesi del Corso Uefa Pro. Dal Capitolo 2: RAPPRESENTAZIONE, RUOLO, LIMINALITA'.
L’organigramma di una società di calcio descrive dettagliatamente il modello di divisione del lavoro, i ruoli e i livelli presenti in un club circoscrivendo ogni unità organizzativa secondo un determinato ordine. Il coordinamento delle diverse unità è formalmente stabilito dalla direzione aziendale. Defilando l’attenzione ai piani sportivi dello schema proposto nella figura 1, si può dire che l’ambiente lavorativo comprende i vari staff e operatori che al loro interno hanno una loro organizzazione sociale e tra le quali l’interazione quotidiana è continua e influenza la struttura in toto. Allenatore, dottore, team manager, preparatore atletico, match-analyst, calciatori nonché, fisioterapisti e magazzinieri agiscono dentro un continuo e inesauribile turbillon interazionale e interdipendente allo scopo del raggiungimento degli obiettivi stabiliti dai piani alti della società. Lo schema di riferimento, a compartimenti apparentemente stagni, serve per introdurre una prospettiva dell’ unità lavorativa che può essere paragonata a un’ istituzione sociale - la società di calcio - nella quale un allenatore si impegna utilizzando un approccio che Erving Goffmann definisce drammaturgico. Per intendersi: un istituzione sociale viene definita come il luogo nel quale si svolge un attività con una certa regolarità (Goffman, 2001). Esempi concreti possono essere la scuola o un carcere, la famiglia o un ristorante. Può essere un confronto azzardato ed eccessivamente provocatorio ma considerare una società di calcio – nello specifico l’area sportiva dove avvengono le interazioni tra staff e calciatori – alla “pari” di un’istituzione totale[1] come quella di un carcere o di una struttura psichiatrica offre interessanti spunti di riflessione riguardo gli adattamenti primari e secondari che gli individui (in questo caso calciatori e staff) mettono in atto per convivere nel nuovo contesto. Contesto che in questo caso appare, a livello relazionale mediatico e architettonico, sempre più chiuso e distante dal mondo circostante[2]. Oltre a ciò è interessante notare come le dinamiche interne si modellino per mantenere un certo equilibrio intrinseco. Sia chiaro: una società di calcio non è un’ istituzione totale - un mare morto dove pullulano piccole isole di attività vitali (Goffmann, 2001) - ma un’ organizzazione dove le correnti sociali vanno riconosciute[3] per navigare nella consapevolezza del proprio ruolo e delle proprie responsabilità. Traslare questa prospettiva allo spazio vitale di una squadra, moderando l’aggressività simbolica del paragone, diventa esercizio per comprendere molteplici meccanismi relazionali. E’ estremamente interessante valutare sotto questa luce il ruolo che ogni essere umano, nella vita sociale di un istituzione, interpreta come attore[4]. Ciò non significa che questa visuale, questo essere attori, debba ricollegarsi a una certa filosofia pirandelliana e al concetto di maschera che lo scrittore siciliano ha postulato in alcuni dei suoi più celebri lavori letterari[5]. E non significa nemmeno connotare tali assunti di una moralità dietro la quale spesso e volentieri ci si barrica per legittimare la propria visione, dove l’ “umano” è il principio cardine sul quale poniamo i nostri giudizi e le nostre valutazioni[6] rispetto alle circostanze che ci accadono. Quando si dice che tale allenatore o calciatore in campo e in spogliatoio si comporta in una data maniera e fuori è tutt’altro, ci si riferisce semplicemente al fatto che per ogni ruolo ricoperto si utilizza un certo modo di comportarsi necessario per agire in modo consono alla situazione. Questo concetto Carlo Ancelotti lo spiega benissimo a Giacomo Poretti (del trio comico Aldo Giovanni e Giacomo):
“Io non sono l’allenatore. Io faccio l’allenatore”
[1] Per approfondimenti sulle caratteristiche di un’istituzione totale si veda Goffmann (2001).
[2] Se si pensa solamente alle barriere immaginarie che esistono rispetto quarant’ anni fa si può dire che il sistema calcio stia sempre di più prendendo le distanze dal mondo circostante assorbendo le caratteristiche della comunicazione televisiva e digitale e proiettando una realtà che deve superare diversi step di supervisione interni. Esempio pratico: nei primi anni Duemila chiacchieravo serenamente con i giornalisti a fine allenamento. Oggi, per un intervista, è coinvolta l’area media della società in toto.
[3] Oserei dire anche addomesticate per quel che è possibile.
[4] Per non creare fraintendimenti, questo punto di vista serve a tratteggiare socialmente le varie parti chiamate in causa.
[5] Il Fu Mattia Pascal, Uno nessuno centomila i lavori maggiori di Luigi Pirandello.
[6] Spesso e volentieri quello che viene definito fattore “umano”, quella qualità che i professionisti dicono di ricercare nel mondo amorale del calcio, è utilizzato come giustificazione alle proprie insoddisfazioni professionali e alle proprie frustrazioni.