13.50 ATTESA. DOMENICA. SPOGLIATOIO

Tutto è in ordine. A terra, gli scarpini neri tirati a lucido dai magazzinieri; al mio posto a sedere un asciugamano blu, i pantaloncini da gara neri con il numero color oro, due sottomaglie bianche, una tuta da allenamento grigia ed i parastinchi personalizzati. Appesa alla stampella sull’attaccapanni la mia maglia, rosa, posta al contrario, in modo che numero e nome vengano ripresi per fini televisivi. Ormai le telecamere divorano anche lo spogliatoio. La disposizione dei posti a sedere è sempre la stessa, io sull’angolo più lontano della stanza a fianco di Andrea ed Edoardo. Una ventina di maglie appese, tutte dallo stesso verso, una ventina di scarpe appoggiate a terra, in maniera quasi simmetrica, compongono il quadro ordinato
all’ingresso. Il silenzio invade l’ambiente, o forse è l’ordine prestabilito delle cose che induce al silenzio, alla concentrazione, alla tensione. Si parla poco, molto poco, monosillabi buttati qua e là intercettati dalle mie orecchie. Si attivano i fisioterapisti per massaggi riscaldanti, piccole cure, fasciature. Isolati dalle cuffie alcuni miei colleghi ascoltano musica pop, hip hop, r n b incollando il loro volto allo smartphone del quale nessuno può più fare a meno, nemmeno in prossimità della gara. Cosa cercano nel web che li distragga dal presente? Mi verso in un bicchierino di plastica bianca del caffè, nero, bollente contenuto nel termos. Lo zucchero, lo assaggio e passeggio per conto mio gustando l’aroma forte. La caffeina. Incrocio sul tavolo una serie di snack energetici, bottigliette di sali minerali, e gel concentrati. Bottigliette d’acqua. Finisco, il caffè e vado al mio posto. Bacio la fede 4 volte, Deborah Camilla Nicole Emily e mi preparo: indosso i pantaloncini, calzini e sottomaglia e con calma scarpe ginniche ai piedi, effettuo il mio preriscaldamento. Mobilizzo il mio corpo, ascolto i miei muscoli e svolgo esercizi di stretching: concentrato su di esso visualizzo i movimenti che dovrò svolgere in campo, i compiti che mi ha assegnato l’allenatore e cerco tra me e me le motivazioni giuste per svolgere al meglio il mio lavoro. Chiudo gli occhi, spesso e penso ai miei compagni, a come aiutarli. Penso che sarà un’altra intensa giornata. L’attesa me la godo in ogni singolo minuto, nei piccoli gesti; do uno sguardo ai fogli appesi, promemoria tattici delle palle inattive, punizioni, calci d’angolo, schemi offensivi.
Tra silenzi e pensieri sento un’introversione psichica che esclude l’ambiente circostante: a volte scherzo per allentare la tensione, a volte scambio consigli con Alino ma il tutto avviene ad una velocità rallentata, come se il solo fatto di parlare mi distragga dalla partita che sto già giocando dentro tra diagonali, passaggi e intercetti che sibilano e vedo scorrere fluidi nei miei occhi. E reagisco o rispondo con qualche istante di ritardo come se le parole e i concetti da elaborare impiegassero più del dovuto a uscire dalla mia bocca. Sento il bisogno di sfogare fisicamente l’energia compressa tra le tempie e non vedo l’ora di uscire a riscaldare il mio corpo per il warmup pre-gara. 2 minuti e usciamo, dice il prof. Ci siamo Ale, ci siamo.