Che faticaccia...
Prevedo già mio caro lettore una delle tue possibili reazioni alla vista di questo nuovo articolo. Ti starai chiedendo: cosa c'entra la foto di un mobile bianco e rosa con il titolo di questo testo? Cosa può legare un mobile da camera con una partita di calcio? Ve lo spiego subito, senza fronzoli. Il 18 settembre 2014 alle ore 19 si svolse la prima partita del girone di Europa League girone B tra Club Brugge e Torino. Teatro della sfida lo stadio Breydel di Bruges. La serata fu limpida e tiepida. L' evento, uno dei tanti nella consueta normalità della programmazione sportiva continentale, rappresentava per la squadra ospite un appuntamento atteso da decenni. Idem per la tifoseria. C' era entusiasmo, molto entusiasmo sulla sponda granata. Tra gli appassionati, i tifosi, la squadra e la società si palpava voglia, fibrillazione, eccitazione. In primis perché l'annata si preannunciava difficile ma motivante al tempo stesso ed in secondo luogo perché vedere l'”Europa” per molti era un sogno inaspettato, un miraggio. Senza questa circostanza particolare la manifestazione europea sarebbe stata vista da molti soltanto con un binocolo di ottima qualità. E tra questi c'ero anche io, in primissima fila. Esuberantemente elettrizzato da tale prospettiva mi feci trasportare troppo dalla sua spinta propulsiva. Non tanto durante il match, ma nei giorni precedenti. Carico come una molla, con allenatore e società che mi aveva confermato per un altro anno, ero deciso a curare ogni minimo dettaglio per farmi trovare pronto all'appuntamento... pronto all' appuntamento... Farmi trovare al meglio delle mie condizioni fisiche... Al meglio delle mie condizioni fisiche... Condizioni fisiche... Condizioni... fisiche... E' chiaro che un professionista della massima serie sia ben consapevole che la vita sana ed il giusto riposo siano la controparte fondamentale per arrivare alla partita in condizioni psicofisiche ottimali. Ma due giorni prima del debutto commisi un veniale errore che poteva risultare determinante ai fini della mia prima performance atletica. Tutto iniziò quando due baldi corrieri mi portarono a casa un piccolo mobile in legno che io e Deborah avevamo ordinato online: dato che il montaggio non era incluso nel prezzo e visto e considerato che avevo il pomeriggio a disposizione, decisi di trasformarmi in operatore tuttofare ed iniziai ad aprire l'imballo che conteneva pezzi e istruzioni per il montaggio. Munito dell'attrezzatura base (brugola e cacciavite survivor version gentilmente concesso dal colosso svedese produttore) e armato di fervore operaio iniziai il lavoro. Tendenzialmente non sono una persona propensa a montare mobili; tutto questo per un semplice motivo: il mio rapporto con le istruzioni non è mai stato sincero fino in fondo; spesso mi capita di aver quasi concluso un montaggio quando qualcosa sembra non funzionare. Ed in effetti mi accorgo che riguardando i disegni ben precisi ai quali mi affido c'è sempre qualche passaggio che ho accidentalmente tralasciato. Perciò devo ri-smontare tutto, ri-tornare all'errore che avevo commesso, correggerlo ed infine ri-montare di nuovo la struttura portante. Ecco, quel pomeriggio, andò esattamente come tutte le altre volte. Iniziai a montare, smontare e piegarmi sulle ginocchia, a sedermi e rialzarmi, a inserire cassetti e a sollevare pannelli di un certo peso, ad assumere posture isometriche per inserire viti che stentavano a combaciare con i fori corrispondenti. Mi ri-trovai dunque, sprovvisto di una attrezzatura decente, a imprecare in un nervosismo contenuto e ad accettare il mio fallimento come operatore casalingo. Ma dopo qualche ora, il mobile (misure 192x60x50, peso totale su per giù 25 kg, composto da struttura in truciolare e fibra di legno con strato di riempimento in cartone a nido d'ape) vide la luce. Fu l'ennesima travagliata vittoria contro la precisione delle istruzioni scandinave. E non fu neanche uno sforzo estenuante nell'immediato. Escludendo le vesciche alle dita e qualche lieve contusione da impatto non mi sentivo così esausto. Il problema fu il giorno dopo: mi svegliai con le gambe già provate e senza la fisiologica brillantezza mattutina; i quadricipiti legnosi ringhiavano come i tronchi segati di una falegnameria nordica. Il danno era stato fatto. Speravo di smaltire quella sorta di affaticamento non lavorativo entro il debutto a Bruges, ma quando giunsi in campo al riscaldamento prepartita, della fatica accumulata era cambiato poco o nulla. Dovevo solo sperare che quelle gambe truciolari* reggessero per 90 minuti. Suona l'inno dell'Europa League, cantano i miei arti inferiori. Fortunatamente, ad esclusione del rumore attivo di motosega alle gambe che sentivo solo io, nessuno si accorse delle mie condizioni atletiche non ottimali. Fu la mia la più classica partita da falegname (anche perché non sono mai stato un architetto), da segate grezze e
dal lavoro pesante. Da bassa manovalanza. In alcuni momenti mi sentivo addirittura un boscaiolo del Cansiglio capitato in una manifestazione calcistica dove gli onesti operai di un certa categoria professionale non sempre sono ammessi. Le mie gambe colavano resina e spesso il pallone mi si incollò ai piedi. Non fu semplice rimanere lucido, temevo che le mie fibre muscolari, già poco reattive per caratteristiche biologiche, potessero essere rallentate da quella massacrante ingenuità che avevo commesso qualche giorno prima. E invece tutto sommato andò bene, resistetti efficacemente nonostante dei crampi che assomigliavano più ai dolori quotidiani di un falegname che alle noie causate dall'acido lattico. La partita finì 0 a 0, ma dietro il pareggio granata c'era una vittoria ben più grande ottenuta nella camera da letto delle mie bimbe: lo Stuva Grundig** era stato sconfitto.
* ci tengo a sottolineare la finezza artigianale nel descrivere la sensazione alle gambe: ho preferito un “truciolare” allo stratificato “compensato”. Se le mie gambe fossero state di “compensato” sarei potuto incorrere almeno ad un infortunio.
** nome dell'armadio.