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Il memorabile pomeriggio di Torino Genoa. 

Mastico. Mastico una brooklin gustolungo alla menta. Su di lei scarico nervosamente i risultati personali di questa annata di merda: 3 mesi di squalifica per omessa denuncia acclarata, scelte tecniche penalizzanti, distorsione alla caviglia, panchina. La saliva ammorbidisce, i denti stringono e la chewingum è vittima inerme dello stress che ho accumulato nei precedenti otto mesi. Colpo su colpo, si piega, si deforma, resistendo al mio agire. E mentre mastico silenzioso nel tunnel che immette al rettangolo di gioco, camminando, frusto la mia mente per prepararla ad una lenta agonia. Sono 5 programmati colpi autolesionistici. Primo: ascoltare il rumore metallico dei tacchetti a contatto con il cemento; secondo: percepire i dodici rilievi esagonali sotto le scarpe, 6 a destra e 6 a sinistra, passo dopo passo. Terzo: uscire dal tunnel e deviare la traiettoria verso sinistra, cinque o sei metri circa di camminata lenta per raggiungere i due scalini della panchina. Quarto: fotografare con gli occhi le altre riserve già comodamente sedute, la curva Maratona, la tribuna ovest e il settore ospite. Quinta e più dolorosa: piegare le gambe e sedermi. Quanto è difficile stare in panchina, quanto è frustrante osservare, con gli occhi al livello del terreno di gioco, i 22 in campo che corrono e sudano, faticano, soffrono. E' troppo tardi abituarsi a 31 anni alla staticità costretta dei comodi sedili posti a bordo campo. Ed il mio corpo e la mia mente soffrono: il primo freme, la seconda brucia.
La squadra, a pochi punti dal 6° posto, viaggia a corrente continua, il pubblico si diverte e l'entusiasmo a Torino è cresciuto in maniera notevole. Da anni, il mondo granata, non viveva un momento come questo. E da questo intenso e bellissimo quadro sportivo io rimango emarginato: il mio ruolo domenicale come al solito è oltre la linea laterale, me ne sto seduto rivolgendo parte dei miei pensieri alle lunghe disquisizioni velate di ironia con giacomo, il team manager, sugli spunti tecnici e tattici che offre lo spettacolo davanti a noi trascinando l' apatia verso la fine della partita. Ogni sacrosanta domenica casalinga. Oggi però ho sensazioni diverse, sarà perché in settimana l’ allenatore mi ha preso in considerazione, sarà perché l’ umore, oggi, tende al sole.
L’ arbitro fischia l’ inizio.
La partita è fiacca, intervallata di tanto in tanto da qualche assolo tecnico isolato. Prevale la noia ed il sole frigge. Cerco di rimanere concentrato sulla partita riuscendoci a stento; qualche parere qua e la con giacomo, il tempo di consumare le altre cinque brooklin gustolungo alla menta che avevo infilato nei calzini granata e i primi 45 minuti diventano cenere.
All’ intervallo ho modo di capire che anche l’erba si lamenta della temperatura e ad inizio secondo tempo vado a scaldarmi a bordo campo. Avevo ormai familiarizzato con la nuova dimensione calcistica imposta: con calma camminavo dietro la panchina avversaria, sentivo qualche applauso di circostanza dalla tribuna centrale e mi posizionavo vicino al calcio d’ angolo della curva opposta per svolgere il mio inutile warm up. Cominciavo sempre con una corsetta per sgranchire le gambe, mobilizzavo bene le anche e acceleravo gradualmente la corsa; tra uno sguardo alla partita e un esercizio di stretching svolto malvolentieri, nel giro di 10 minuti il mio corpo era pronto per l’entrata in campo che non arrivava mai. Attendevo già sapendo.
Verso il 54 minuto ricevo la chiamata dall’ allenatore. Devo entrare. Guardo il tempo a disposizione sul maxischermo: 40 cazzo di minuti. Ritorno in panchina e mi sistemo i parastinchi, indosso la maglia numero 14 e raggiungo il quarto uomo a metà campo. Mi impongo tre regole: Correre, aiutare i compagni e sentirsi liberi. Così verso il 55 esimo minuto do il cambio a Migjen infortunato: il suono dei tacchetti metallici scompare e i miei passi sono ovattati dal manto erboso dello stadio Olimpico. Dopo pochi minuti mi colloco mezz’ ala destra, non so ancora per quale motivo e senza nessuna indicazione dalla panchina. In ordine sparso elenco: un recupero in scivolata, una palla persa ed un lancio. Un contrasto vinto a protezione della sfera. Stop errato con recupero immediato. Altra scivolata. Allunghi e corse a vuoto, fiato corto dovuto alla mancanza di ritmo partita e un velo in proiezione offensiva. Il risultato è sempre lo stesso e la partita dice poco o nulla. Curioso che uno zero a zero di noiosi stenti si riveli un momento per me quasi memorabile: sono entusiasta del lavoro che sto svolgendo, mi muovo con naturalezza tanta quanta la mia voglia di correre ed aiutare i miei compagni; sono estremamente contento e concentrato in ogni mio gesto, in ogni mio movimento, anche il più inutile. L’ aria entra ed esce dai polmoni a un ritmo misconosciuto, l’ aria entra, l’ aria esce, le gambe accumulano fatica, il sudore sulla fronte conferma l’eccezionalità dell’evento. Meraviglioso. Come da bambino. Goditela cazzo ancora pochi minuti e ritornerai al tuo abituale ruolo di riserva della riserva del centrocampista titolare perché i fatti dicono questo, ricordatelo, la riserva della riserva del centrocampista titolare.
A cinque minuti dalla fine del match, l’inaspettato gol avversario sblocca contemporaneamente la partita e un particolare flusso anomalo dei miei pensieri. Cazzo, cazzo, cazzo, no cazzo, per una volta che gioco e mi diverto no cazzo, perdere no, non ci voleva proprio, fanculo a questa annata di merda, uno sputo di partite una marea di stronzate e poi li tutti a pensare che non ho le qualità e le caratteristiche adatte al tipo di gioco, domani sui giornali i soliti scontati commenti del cazzo, tanto gazzi non te la risolve la partita, oddio ce la mette tutta quando entra ma con i piedi non ce la fa proprio… Che devi fare Alessandro sii sereno e rassegnati. Hai fatto quello che dovevi fare non ti preoccupare più di nulla. Ancora poco più di un mese e sarà tutto finito, te ne andrai via silenziosamente senza lasciare traccia. Ora però metti l’animo in pace e chiudi anonimamente questi pochi minuti di merda.
Palla al centro. Tempo rimasto: briciole. Due azioni offensive cestinate. Entriamo nel tempo di recupero, il portiere avversario, lentamente, sistema il pallone nell’ area piccola e rinvia. Dal duello aereo a centrocampo ne consegue un rimbalzo della palla proprio davanti a me, stoppo e passo ad Omar che avanza e appoggia a Ciro: quest’ ultimo, in stato di grazia, si libera del difensore, e sfodera un tiro con effetto a giro che va ad insaccarsi sull’ angolo sinistro del portiere. Uno a uno, esultanze e boato del pubblico. Ottimo Alessandro, ben fatto, hai reso utile il pallone innocuo che ti è capitato tra i piedi, ora puoi chiudere degnamente questi pochi minuti di merda. L’ arbitro fischia di nuovo. Ed io sono nella zona. La palla deviata dal pressing immediato di Riccardo su un giocatore avversario rimbalza decido di intervenire eseguendo una scivolata anticipata davanti ad un centrocampista genoano la colpirò sicuramente questa palla, ho letto l’azione con qualche attimo d’ anticipo che al di la del cerchio di centrocampo stoppa il pallone portandoselo avanti di qualche metro. Ora colpisco di netto il pallone un fottuto tackle scivolato appoggiandolo ad alessio distante qualche metro dall’ azione. Quest’ ultimo, in stato di grazia, avanza a fronte di un avversario che non lo molla di un centimetro, riesce a liberarsi due metri fuori dall’ area di rigore e colpisce il pallone in maniera talmente perfetta da stamparsi all’ interno dell’incrocio opposto. Portiere battuto. Il delirio. 20.000 spettatori sbraitano una gioia incontrollata, squarcio sonoro che sventra una primaverile domenica pomeriggio torinese; dalla panchina granata si alzano le riserve esultanti che corrono senza logica inseguendo gli attimi di un evento superbo; il tendine d’ Achille del preparatore dei portieri granata cede: all’ impulso nervoso non corrisponde l’ immediata reazione della caviglia per alzarsi dalla sedia; esplode l’ allenatore nell’ abito elegante, rispondendo verbalmente ai contestatori cronici che si posizionano dietro di lui come gufi ad aspettare un nuovo passo falso sul quale scatarrare giudizi indecorosi. Il marcatore corre verso la curva inseguito da fotografi, addetti alla sicurezza e compagni di squadra, togliendosi la maglietta e vagando a caso nello spazio dietro la porta violata. Ed io in campo, apro lentamente le braccia alzandole a mezz’ altezza, incredulo. Mi guardo attorno tra la delusione degli avversari e le urla dei miei compagni. Corro a caso esultando ed urlando. Mi sento un bambino e tutto è tremendamente meraviglioso. Ancora pochi secondi, lo speaker dello stadio che intona il coro dei festeggiamenti e gli undici granata che ritornano al loro posto. Triplice fischio finale. 2 a 1. Di nuovo un boato a scrostare vecchi rancori passati. La vittoria, enorme, ci consente di continuare a sperare nell’ Europa League, sogno ad occhi aperti impensabile a inizio campionato. Ora è finita Alessandro, perciò ascolta solo te stesso… sii orgoglioso di quello che hai fatto, di ciò che hai trasmesso sul campo e di ciò che hai provato e non ti preoccupare più di nulla, l’ occasione di giocare almeno qualche decente minuto l’ hai avuta. Abbraccia i tuoi compagni, appoggia le tue mani sulle teste esultanti e rimani defilato come sempre, non sei tu il protagonista. Te la sei goduta, vivi ancora questi pochi attimi e lasciati andare ancora per qualche minuto. Non pensare a niente, non pensare a niente, non pensare a niente…

Per rivedere i momenti salienti ---> Torino Genoa 2-1.