Papà, perché hai preso il mio posto a tavola?
Nicole, al giorno d’oggi bisogna saper ricoprire tutti i ruoli.
1.
Luciano Spalletti è il nuovo Commissario Tecnico della Nazionale Italiana. Dopo lo Scudetto con il Napoli, la voglia di tirare un po' il fiato e qualche disquisizione contrattuale con il Presidente De Laurentiis il tecnico toscano avrà il compito, non impossibile, di scuotere quel climax che nell’ultimo tempo avvolgeva grigiamente le prestazioni degli Azzurri. E poi, di puntare a quei Mondiali che mancano da diversi anni. Lo fa nel momento ideale, dopo la trionfale stagione partenopea e dopo una esperienza professionale che lo ha visto brillare, seppur vincendo meno di quello che si possa pensare, sia alla Roma che allo Zenit. E’ una ciliegina sulla torta, dal mio punto di vista. Non ho mai conosciuto da vicino il tecnico toscano ma l’ho incontrato ai tempi di Siena (dicembre 2011) durante una cena di beneficenza in memoria di Ale e Ricky, due ragazzi delle giovanili della Juventus tragicamente scomparsi nel 2006 mentre cercavano di recuperare dei palloni in un laghetto presso il centro sportivo della Juve a Vinovo. Fu quello un incontro che mi ha lasciato sottilmente “terrorizzato” (espressione tirata per i capelli ma che può rendere l’idea). Mentre cenavo nello stesso tavolo che ospitava la delegazione bianconera rappresentata da Ravanelli, Baroni e Pessotto, a un certo punto della serata il Mister si avvicina. Si siede e inizia a chiaccherare. Dopo qualche minuto si rivolge a me con una lode sperticata e occhi che mi squadrano come se stesse facendo una scansione completa della mia persona. E già lì, non sapevo che cosa rispondere. Ma non era quello il punto. Il punto stava nelle spiegazioni approfondite e analitiche che faceva ai commensali sulla metodologia del suo lavoro e su quali fossero le sue ferme convinzioni. L’inflessione toscana passava in secondo piano vista la particolare cura del linguaggio usato con la quale cercava di spiegare la sua visione delle cose. E mentre spiegava con una gestualità marcata (ha due mani giganti!) ciò che mi incuteva quella strana sensazione di inquietudine erano delle frecciate che spesso e volentieri rivolgeva al sottoscritto come ad avvisarmi, come a mettermi in guardia. Quelle occhiate, che sembravano sospendere il tempo per qualche secondo, avevano l’ aria di un avvertimento dal taglio cinematografico. Immaginatevelo… “Spero tu stia ascoltando… spero proprio che tu stia comprendendo quello che voglio dire.. ti ho fatto la scansione bello mio… so cosa stai pensando…”.
In bocca al lupo Mister Spalletti!
2.
E’ mancato nei giorni scorsi Brian McBride. Aveva 53 anni. Gli appassionati del pallone lo conosceranno tutti: ex attaccante del Fulham dal 2004 al 2008 (140 presenze e 32 gol), nazionale statunitense (95 presenze) ha giocato prevalentemente in madrepatria nella compagine del Columbus Crew in Ohio. Ok. Il Brian McBride a cui mi riferisco è un musicista omonimo che assieme ad Adam Wiltzie degli A Victory for the Sullen ha inciso profondamente nella storia del rock ambientale di fine anni novanta e inizio duemila con il progetto Stars of the lid. Il loro primo album, Music for nitrous oxide definisce subito coordinate sonore sconosciute a chi è abituato a frequentare il pop radiofonico. Basta ascoltare la prima traccia, Before top dead center: dal silenzio remoto, lentamente, sembra nascere quello che è un magma chitarristico stratificato e rarefatto, dalla lentezza evocativa e dalle intenzioni sognanti. E’ quello, l’inizio di un percorso che porterà McBride e Wiltzie a scuotere gli universi interni di chi nella musica ricerca qualcosa che vada oltre lo strato epidermico. Dal 1997 al 2007 vengono pubblicati 7 album nei quali minimalismo e melanconia vengono dispiegati in ore e ore di staticità apparente, via eterea alla bellezza. Musica nostalgica, composta da variazioni subliminali e contraddistinta da una staticità solo apparente. Per chi volesse approcciare il loro suono consiglio Gravitional pull vs the desire for an aquatic life, forse il loro lavoro più accessibile. Il mio preferito è The tired sounds of Stars of the lid, un disco grandioso e tremendamente malinconico. Non è per niente semplice avvicinarsi a questo gruppo; dal canto mio, quando li ascoltai per la prima volta, non avevo ben capito che cosa volessero dirmi. Ma poi, maturata l’abitudine alla loro arte, non me ne sono più distaccato. E’ musica che sfiora ricordi, nostalgie, che rilassa. Che scende in profondità. E soprattutto, che emoziona. C’è anche del calcio, se si può dire così, in mezzo a queste note: Dopamine clouds over Craven Cottage scritta nel 2007 si delinea quale pezzo ambient da stadio. Una delicatezza sonora espressa nelle note di pianoforte che aprono il brano e che portano l’ascoltatore nei meandri di una domenica pomeriggio sepolta in memorie lontane. Vera e propria Subconsciusness music. Ciao Brian.
“Sono Dave Bowman nel corridoio interstellare, tra raggi sonici, forza di gravità e il desiderio di una vita in lieve sospensione.” Nell’antologia di racconti sportivi “Per rabbia o per amore” (66thand2nd) dove è incluso il racconto breve “Dieci minuti”, rieccheggia il titolo di un album degli Stars of the Lid che poi, in fase di editing, è stato leggermente rielaborato. Gravitional pull vs the desire…
3.
Il calcio dell’Atalanta è post-metal.
E dopo l’intervista di Maehle che ha parlato di dittatura da parte del tecnico atalantino nella gestione della squadra, si può anche citare l’album da ascoltare per immergersi nel Gasperini style.
Panopticon, degli Isis. Anno 2004, Ipecac recordings
4.
Spettacolare la foto di copertina, non credete? Un campo di calcio di provincia, una partita serale, gli spettatori a pochi metri dalla sfida, un chiosco. E poi, di lì a qualche metro qualche condominio e la periferia urbana del paese, illuminati dalle luci serali di un’estate come tante. Sotto una cornice fragile e maestosa che si erge in tutta la sua bellezza. Il Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi. Non c’è foto migliore che possa valorizzare questo ambiente a me familiare. Il campo d’allenamento degli impianti sportivi di Santa Giustina, il luogo dove sono cresciuto. Un comune di seimila anime che si sviluppa sulla Statale 50 tra Feltre e Belluno. Qui, proprio alla sera, per qualche anno ho svolto gli allenamenti con la squadra giovanissimi regionali della Plavis, la società del paese presente da oltre cinquant’anni. Ricordo con un pizzico di nostalgia gli allenamenti di mister Gianfranco Brunetti detto Becucio, un uomo alto dalla voce leggermente stridula abituato a camminare con la postura leggermente ingobbita. Dall’animo buono, a metà anni novanta fumava parecchio e ci faceva allenare a qualsiasi condizione atmosferica; i suoi allenamenti erano molto semplici: riscaldamento, ripetute di corsa, qualche esercizio tecnico e partita. Ricordo come se fosse ieri alcune esercitazioni di tecnica analitica che forse ad oggi sono andate perse. La famosa “forca”, ad esempio. Oppure una serie di tiri da fuori area, con il pallone appoggiato sopra un birillo, che noi ragazzi dovevamo calciare piegandoci il più possibile con il corpo e coordinandoci nella maniera corretta. Spesso e volentieri era il birillo l’attrezzo che veniva calciato dai nostri piedi. E poi c’erano quelle estenuanti ripetute di corsa. Su e giù sulla lunghezza del campo o salendo e scendendo la breve rampa a fianco della linea laterale, cambiando pendenza e ritmo. Le da corer, c’è da correre, ci diceva sempre. Amavo fare quelle corse. Arrivavo alla fine di tutto stremato e felice e sebbene il pallone in certe circostanze lo vedevo poco, nutrivo un piacere fisico nel fare fatica che con molta probabilità ha inciso sulla crescita e sulle attitudini che in futuro avrei maturato. A ben pensarci però la sensazione più forte in assoluto la vivevo prima dell’allenamento. Qualche minuto prima che il mister radunasse la squadra per iniziare il riscaldamento, io, Andrea (Cinel) e Andrea (Comin) eravamo soliti uscire dallo spogliatoio con il pallone in mano, attraversavamo il parcheggio e scendevamo la rampa naturale che portava al campo. Entravamo nel rettangolo di gioco e, correndo, appoggiavamo il pallone su quel terreno duro e arido, molle e fangoso, congelato e scivoloso. E correvamo palla al piede verso la porta più distante, a tutta velocità. Ridevamo e correvamo, correvamo e ridevamo e lanciavamo la palla senza pensare troppo a dove sarebbe finita. E poi, quando vedevamo che la porta era lì, né troppo lontano, né troppo vicino, prendevamo la mira. E calciavamo con tutta la forza che avevamo in corpo.
Ecco, stretto un po dal sentimento dei ricordi, colgo l’ occasione per parlare del futuro. Sebbene l’affetto per quel luogo sia rimasto intatto, va detto che purtroppo le condizioni del campo sono rimaste le stesse da trent’anni a questa parte. Trenta. Un terreno difficile da gestire, dove credo sia sempre più complicato effettuare un controllo orientato o un dribbling. Un terreno che ha bisogno di essere rinvigorito da una nuova linfa ludica e da una gestione che possa essere efficace e produttiva in termini di utilizzo. A Santa Giustina si sta parlando da qualche tempo di un campo in erba sintetica, la soluzione idonea per tutti coloro che vogliono giocare, per la società, ma soprattutto per la comunità. Sono fiducioso, nonostante i continui ritardi amministrativi. Perché quel campo, intriso di ricordi e di memoria ha semplicemente bisogno di nuova vita.
Visioni
Manchester City – Fulham, scampoli di Brighton- Newcastle, Atalanta- Monza, Empoli-Juventus, Alessandria Novara.
Letture
Gianni Montieri, Il Napoli e la terza stagione. 66thand2nd, 2023.
Ascolti
Coldplay, Parachutes. 2000. Parlophone
Nathan Fake. Drowning in a sea of love 2006. Border Community