LUNEDI' 4 MAGGIO 2009, STADIO SAN NICOLA, ORE 20.15 CIRCA

Il boato a 360 gradi...  

Inizio a correre.

I brividi non si limitano ad insinuarsi tra le vertebre, lungo la schiena. La pelle d’oca mi divora le braccia, il collo fin dentro le orecchie. E la testa. Sembra che un fluido elettrico attraversi i fili scoperti del mio corpo ultraeccitato e il cuore diventi una centrale sfasata invasa da “tribù di amminoacidi”. Da tutto il resto mi lascio assorbire. Non è ebrezza. Dieci, quindici venti secondi. Quanto dura l’emozione? Sembra non avere fine questo attimo espanso, mentre corro lungo la linea laterale nel riscaldamento. Dio mio. Il senso di appagamento mi travolge. Ascolto le onde musicali di una stagione intera: Leave home, dei Fratelli Chimici scuote, se ancora ce ne fosse stato il bisogno, lo stadio. Nel martellare elettronico delle viscere, mentre corro, ripenso agli sforzi, ai sacrifici e alla fatica dei 48 mesi precedenti. Alla serie di accadimenti, azioni e reazioni che hanno destinato la loro logica a così tanta intensità: i tentennamenti delle prime uscite in cadetteria e l’autostima costruita a palle recuperate; le salvezze conquistate scorticando punti dove era possibile e i disagi percepiti in spogliatoio; gli infortuni e le contestazioni dei tifosi, la voglia di andarmene via da Bari ed il presidente che sentenzia lapidario “Alessandro, la serie A te la devi guadagnare qui.” E poi l’ultimo estenuante ed immenso anno e mezzo che ho vissuto. Una frase. “Di calciatori come te in B non ce ne sono”, la voglia di credere a quel concetto. La filosofia del mister e la ferocia filosofica del suo mantra: la vittoria come unica soluzione. Mi sventrano i pensieri e il luccichio nei miei occhi è la sintesi del riflesso definitivo: Bari Empoli. Apoteosi biancorossa. Nulla di assoluto, niente Mondiale, niente Champions, solo serie B. Il San Nicola straborda, cinquantamila anime all’unisono a tifare anche solo per una notte la Bari; non c’è soddisfazione più grande di vedere il tuo lavoro ripagato, apprezzato; non c’è soddisfazione più grande di vedere le onde crepuscolari del cielo, i riflettori accesi ed un popolo in estasi. I petali* si muovono irregolari riempiendo lo stadio di una prepotenza visuale che mai avevo visto. Ad altro ero abituato: erano tonnellate di cemento armato abbandonate e pochi miseri tifosi a ricalcare nella consapevolezza un disegno piatto e desolante. Ma ora gli occhi brillano e l’immaginazione non ha bisogno di nessuno stimolo. Faccio parte di una storia più grande, di un’impresa mostruosa ed il prossimo anno raggiungerò il sogno sepolto sotto le macerie di impietose ed infantili statistiche. La massima serie italiana, guadagnata sul campo. Accarezzo il mondo interno come mia figlia appena nata e ammiro estasiato l’entusiasmo di una città intera riversata nell’astronave architettonica. La curva è una bolgia, il resto è la moltitudine biancorossa: tremano gli spalti, vibrano i timpani. Il volume delle frequenze è elevato: non sento i miei passi, non sento nulla se non un boato continuo che satura lo spazio sonoro. Io mi continuo a rifugiare nella gioia interiore alla ricerca, senza troppi assilli, della concentrazione per la partita che andrò a giocare. Ogni mio compagno si scalda a modo suo. Una delicata brezza sfiora la mia pelle. Lasciati andare, ancora per qualche istante perché i brividi, prima o poi, se ne andranno.

 

La coreografia della Curva Nord all'ingresso in campo delle squadre.